VIcky: il racconto continua

Bentornati, cari lettori.

Come promesso, la rubrica continua, cari lettori, imperterrita, con lo stesso eroico furore che attraversa l’anima di Vicky nel racconto che siete in procinto di leggere. Per chi non l’avesse già fatto, ricordo di leggere la parte precedente, pubblicata nell’ultimo articolo: vi trovate anche una brevissima sinossi.

Vaccinazione

5 gennaio 2021, 4.11, la notte è più movimentata del solito

Vicky si è svegliata nel cuore della notte, di sobbalzo; sono le 4 di notte, ma Vicky è sveglia, in piedi e non sa nemmeno perché. Dall’ultima volta in cui era scoppiata in lacrime, è come se non fosse riuscita più ad acquietarsi: la sua anima è diventata un continuo vorticarsi che non accenna a fermarsi, le sue emozioni sono diventate degli stornelli che si muovono con impeto in questa tempesta perpetua. Cerca di ritornare alla sua forzata apatia, fingendo di non sentire l’imperterrito e fastidioso rimescolarsi della sua anima. Sposta la sua attenzione altrove, così da tamponare per un momento la sua ferita interna: appoggia così i gomiti sul davanzale in travertino della finestra e inizia a scrutare l’orizzonte illuminato. Questa volta il riflesso del suo viso non la accompagna e così il ricordo di suo padre; si sofferma piuttosto sui contorni delle colline, della casa di fianco, della macchina malconcia dei vicini. Purtroppo, lo scorcio visibile è reso ancora più ristretto dalla scarsità di luce, cosicché Vicky non può analizzare i contorni della collina che pure era la parte più interessante di tutta la vista che le si offriva. Il suo sguardo continua a spostarsi, seguendo perfettamente le singole crepe della parete di fronte; questa volta c’è una nuova crepa, lunga e intricata. La segue in ogni suo punto finché ad un tratto, giunta al suo termine, non compare una luce vermiglia che la prende di sorpresa. Sono i fari di un grande camion, di quelli che non si vedevano ormai da tempo. Non è il tipico camion del corriere, è diverso… Questo reca la scritta “Pfizer”.

Quindi è vera questa cosa.

Vogliono togliermi anche chi mi è rimasto.

Dal camion scendono tanti soldatini che sembrano non temere la notte. Tutti rigorosamente in fila indiana e con le mascherine, si dirigono verso lo sportello anteriore, da cui si spande un fumo quasi arcadico e onirico, che avvolge dei grandi e pesanti bauli: si tratta dei famigerati frigoriferi. La produzione era iniziata mesi addietro, molto prima della definitiva approvazione del vaccino del FDA statunitense. Gli uomini caricano i frigoriferi, per ciascuno almeno quattro. Uno sale sul camion, gli altri 3 accompagnano la discesa con estrema attenzione: far cadere uno dei super-frigoriferi significherebbe distruggere almeno 5000 vaccini. A ogni movimento brusco e inaspettato degli uomini, Vicky spera inesorabilmente che quei 5000 vaccini si frantumino in mille pezzi, perché sa che altrimenti a frantumarsi sarebbe la sua anima. E Vicky non vuole che la stessa cosa riaccada, non vuole sentirsi nuovamente a pezzi e fingere di essere fintamente composta, come suo solito. Non vuole perdere chi le è rimasto.

Vicky continua a indirizzare anatemi contro gli uomini forzuti, senza alcun esito. Gli spostamenti sono precisi e ripetitivi, quasi come in una catena di montaggio, finché tutti i frigoriferi non sono trasportati all’interno dell’ospedale, lo stesso in cui lavorava il padre, lo stesso in cui lavora anche la madre, come infermiera. I pensieri di Vicky svaniscono, si dissolvono, nello stesso istante in cui la porta del camion viene chiusa. Il rumore prodotto dallo sportello è identico allo stesso di prima, prodotto dal gomito a contatto col travertino. Le sembra di tornare così indietro nel tempo: la vista torna quella di prima e a quel punto tutto sembra perdere di consistenza, come se nulla l’avesse toccata veramente. Le rimane solo un vuoto dentro. Non prova più nulla, ma solo perché non desidera provare più nulla.

E ora, sempre che ci sia qualcheduno a leggere, ecco un po’ di riflessioni, con cui intendo chiarire gli intenti dietro questa mia stesura, come fece il Foscolo in una lettera a Monsieur Aimè Guilloine (scusate l’insensatezza del nesso, ma approfitto per ripassare per l’interrogazione di Italiano che avrò a breve).

Vickeiron: Vicky è l’apeiron che viviamo

“A volte sembra quasi che scienza e religione seguano una stessa regola: non importa che una cosa sia vera, l’importante è che sia credibile.” – Stefano Nasetti

L’hanno presa. Non mi rimarrà più nessuno. I pensieri di Vicky sono quelli di una ragazza afflitta dalla morte del padre, che trema al solo pensiero di perdere anche chi le è rimasto, la madre e Sam. Nel contempo, Vicky si sente sempre più disorientata, tra la necessità di ricercare un’imperturbabilità forzata e la realtà dei fatti che le si presentano; è una ragazza combattuta tra le sue emozioni che non riesce a comprendere il cur delle cose. Ecco che l’apeiron esterno le è entrato ormai dentro, le si è innestato nell’anima. Vicky diventa l’apeiron fatta persona (Vickeiron): la confusione dei nostri giorni, la paura, la disperazione, le controversie della società attuale, l’arroganza, l’ansia e la diffidenza. Vicky è tutto ciò che stiamo vivendo, nella sua psicologia caotica ed estremamente sofisticata.

Sovvertire il rasoio Occamiano

Fulcro del suo pensiero è una notevole sfiducia nei confronti della Scienza, che diventa il capro espiatorio dei suoi mali, della stessa morte del padre, della corruzione della società. La Scienza è dipinta come un organismo di controllo delle coscienze, corrotta anch’essa, per fatti economistici, ragionieristici, perdendo l’originaria valenza di Scienza come demistificatrice di conoscenze esoteriche e inverificabili, come era d’altronde nel rasoio occamiano. Ciò è quanto si intravede all’interno dell’anatema agli uomini bitorzoluti che trasportano carichi contenenti i vaccini: “Spera che i 5000 vaccini si frantumino in mille pezzi, perché sa che altrimenti a frantumarsi sarebbe la sua anima.”

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