Pasolini profetico


All’insegna del centenario dalla nascita del poeta-vate, vi presento un elaborato sull’animo, l’ideologia, la vena più intima che ha mosso gli scritti del Pasolini. Da ora, si spengano le luci…

Corpi vilipesi

Corpi vilipesi. Coscienze desertificate. Animosità irriconoscibili di fronte all’unico barbaglio monotono. Teschi ormai aggrappati gravemente alle pareti irregolari. Anime disperse che si aggirano attorno all’inesistenza di un orizzonte di senso. Nella caverna platonica dell’assoluta laboriosità non v’è placet. Eppure, nel tenebroso antro in cui si ha unica dispersione di inconsapevolezza e incoscienza, un’ultima luce, per quanto fioca, sembrerebbe colpire gli occhi di un valente poeta.

Il risveglio nella caverna

Nel monotono stacanovismo del neo-edonismo capitalistico, l’unica cogitatio libera sembrerebbe unicamente fiammeggiare entro l’anima Pasoliniana. Abbandonando la leggiadra torre d’avorio si prodiga animosamente nell’atto della reconquista libertaria, nell’atto di una concitata trasposizione nel reale del metodo trasformativo marxista. Alla pari del mito platonico dei prigionieri di coscienza nella caverna tenebrosa, il Pasolini attua, in tal misura, un sovvertimento di coscienze. A seguito della rivelazione della vacuità del mondo capitalistico, e del suo surrettizio carattere totalitaristico, questi sembrerebbe agire con la sua opera a favore di un risveglio dogmatico delle anime rimaste incatenate entro le pareti rocciose dell’illusione. L’essenza profetica del Pasolini si rivela allora nell’atto di un valoroso richiamo di coloro rimasti incarcerati coscienzialmente di fronte al Leviatano capitalistico-borghese. Quasi mediante uno scossone, realizzato sapientemente mediante le opere cinematografiche, il poeta tenta più che mai una comunicazione dall’esterno della caverna platonica per poter giungere, di scatto, all’interiorità dei dormienti assuefatti dalla logica dell’accrescimento del Capitale. Non è pertanto un caso che una simile comunicazione debba preferire la via del turpiloquio, funzionale allo scuotimento coscienziale, che si realizza mediante la messa in scena del puro agire gaudente del Capitalismo stesso. Il Pasolini, ossia, induce nella mente dell’osservatore prigioniero un ribrezzo mediante la visione tenebrante di violenze e scenari difformi, tali da richiamare uno scandalo ma favorevoli al risveglio coscienziale. In tali sceneggiature cinematografiche, di fatti, l’artista mette a tema l’essenza del neo-edonismo, delle violenze vissute nel quotidiano ma spesso ignorate inconsapevolmente. Tali sono le violenze del Capitalismo, che induce, contro la democrazia di facciata, ad un livellamento, ad una reductio ad unum, e ad un infinito pluralismo della stessa realtà di disproporzione sociale, alimentato unicamente dalla sorgente del plusvalore, quale non plus ultra.

Omologazione

La lezione di Pasolini a tal riguardo si scorge particolare entro gli stilemi artistici di un focoso pennello che dipinge con la puntigliosità della retorica elegante e raffinate l’insensatezza della struttura capitalistica. A rispondere alla necessità di un risveglio delle coscienze v’è pertanto l’incendiario stile constatato entro un giornalismo più che mai corsaro. È specialmente nell’articolo dedicato al puro e vano atto di una profanazione della religione che si realizza la rampogna sociale del valente poeta nei rispetti di un Capitalismo che avrebbe ridotto a merce gli stessi massimi simboli di Famiglia, Religione, Fede. Facendo leva sulla famigliarità folcloristica, la strategia del nuovo marchio Jesus avrebbe di fatti strumentalizzato il credo religioso, rispendendo al più alto e statuario Capitale. Presupponendo un controllo delle coscienze anzi piuttosto lasco avrebbe in realtà a pieno realizzato l’essenza del perfetto totalitarismo, inteso nel suo terebrante accesso nelle coscienze, che, una volta imbrigliate sarebbero state rivolte, perinde ac cadaver alla sudditanza. Una volta rivestite della casacca del consumista, l’essenza della nuova massa sarebbe stata unicamente circoscritta dietro la rivisitazione del Cartesiano Cogito ergo sum, in Consumo ergo sum – in chiave tipicamente Baumaniana. Queste stesse sarebbero state in ultimo ridotte terribilmente a semplici maschere di carattere e a minime ed infime astuzie di una ragione ben più evidentemente imponente. È Specialmente anche in riferimento ai risultati del referendum abrogativo che il Pasolini evidenzia più che mai un’ulteriore instaurarsi dell’unica logica Capitalistico-borghese: contro l’apparente dichiarazione di una vera e propria conquista in senso comunitario oltre che etico-morale, il Pasolini sembra agire controcorrente rispetto al giornalismo assuefatto al Capitale. Questi afferma dichiaratamente l’evidente debacle di ogni valore e di ogni ultimo afflato della società paleo-industriale, che si riconduce all’atto di una consistente omologazione. Nel dettaglio, ecco che sembra prender corpo la rarefazione delle lucciole, intese, latu sensu, quali massimamente rappresentanti della continua imperante disfatta del passato rispetto alla nuova logica del presente. Collateralmente si realizza a pieno l’interscambiabilità delle coscienze, al di fuori della propria appartenenza corporale o a determinati fenomeni gestuali: ecco più che mai che fascisti e antifascisti si trovano aggrappati unicamente alla stessa voce sostratica del Capitale e alla stessa imperante coltre di disuguaglianza sociale e etico-morale.

Le ultime lucciole

Unica possibilità di riscatto è allora da cogliersi entro i confini degli ultimissimi fortilizi della cultura paleoindustriale, per cui il Pasolini sembrerebbe ben disposto a sacrificare la nota Montedison di Milano. È in tali gangli che si ravvede la tangibile possibilità di una porta-carraia per il passato idealizzato, nonché per un passato evidentemente alieno rispetto alla logica di acculturazione, e più che mai definito in forza della sua notevole autenticità oltre che di trasparenza del pensiero. La vitalità della struttura borgatara sembra particolarmente indirizzare una forma di fascinazione nella mente Pasoliniana, specialmente in ragione della sua quasi descrizione di locus amoenus, del tutto pertanto intatto e incontaminato rispetto al liquame del nuovo imperante totalitarismo. Questa è colta nella sua spensieratezza, nel suo conducimento di un’apparente vita di stenti e di inedia in realtà colti anzitutto nella loro espressione onesta e sincera, oltre che totalmente disinibita rispetto ad ogni interdizione coscienziale. Non è affatto un caso che la voce pasoliniana si riconduca, a tal riguardo all’attenta disanima della struttura periferica di Roma, all’interno di ben due romanzi – nonché Ragazzi di vita e Una vita violenta. Lo scenario tanto aberrante della realtà più marginalizzata rappresenta nucleo fondamentale per il raggiungimento dell’effettiva liberalizzazione non già di merci bensì di menti.

Pasolini redivivo

Il Pasolini rappresenta voce particolarmente preziosa entro il secolo passato, ma la cui presenza continua imperterritamente a richiamare all’attenzione la nuova società dello sviluppo senza progresso e del consumo ergo sum. L’atto fondativo di una riflessione permeante di lucidità mentale si anima dietro il difficile ruolo di intellettuale non sempre pienamente compreso, in ragione di un capitalismo fervidamente impiantato nelle coscienze. Nel suo figurare quale massimo parresiasta, si sarebbe pertanto visto troncato della propria stessa vita, in ragione della sua terribile uccisione, per mano del Pelosi. Eppure, l’anima pasoliniana si evidenzia particolarmente presente e più che mai rediviva all’interno dei suoi scritti e dei suoi articoli, frutto ulteriormente di un’autenticità unica e rara.

Vicky: ultimo capitolo


L’epilogo di Vicky

Un po’ in ritardo, devo ammetterlo, ma ecco l’epilogo della cara Vicky: la rottura di ogni speranza, la confusionaria giustapposizione di immaginazione e realtà, tra supposizioni e fattualità. Prima di lasciarvi alla lettura, vi indirizzo al capitolo precedente.

Perdere

5 gennaio 2021, 8.22, è tutta una finzione

Vicky si sveglia dopo un sonno profondo, quasi le sembra di aver sognato tutto: gli uomini bitorzoluti, la scritta Pfizer, i frigoriferi a -70°C, lo sportello che si apre e… si chiude. Che sogno bizzarro. Continua per un momento a osservare il soffitto e a ripensare al suo sogno, avvolta nelle coperte tenere di lana; dopo aver speso alcuni minuti assorta nei suoi pensieri esistenziali, si sposta in soggiorno.

“Mamma, ho sognato che il vaccino arrivava puntuale. Ahaha!”

La madre la guarda interdetta. A Vicky basta poco per comprendere, il telegiornale le chiarisce tutto: “Arrivano finalmente le prime cento mila dosi in Italia. Ieri notte, alle 2.30 sono arrivate direttamente da Bruxelles…”

Non è possibile.

“Speranza chiarisce che le dosi sono state certificate dall’AIFA. Non c’è nessun rischio… Altre 500 mila dosi in arrivo dopodomani. Le prime iniezioni cominceranno già da oggi, solo per gli operatori sanitari.”

“Tu non ci vai vero?” – Vicky supplica la madre.

“Come faccio a non andarci. Devo continuare a lavorare ed è bene che mi protegga, per tutte noi”.

“No!” – esclama Vicky con rabbia mista a malinconia – “Se ci vai, non lo fai per tutte noi. Lo fai contro di noi. Non lo capisci?” – afferma con delle lacrime che cominciano a segnarle il viso. Tutto il vuoto che le era rimasto dentro era finto, lo aveva voluto lei; ma di fronte alla realtà dei fatti vomita tutta la sua anima, che nel frattempo aveva cominciato a mescolarsi e a rigirarsi all’interno.

“Vicky, ascolta. Non mi succederà niente ok? Gorini dice che gli effetti collaterali non sono gravi. Lavora allo Jenner Institute, saprà quello che dice. Hanno lavorato per mesi al vaccino, io mi fido”.

“No!! Ma perché secondo te l’avrebbero mai ammesso, se non fosse stato sicuro? Mentono, e lo fanno per la loro reputazione e per i soldi. Hanno i loro motivi e tu… non devi… fidarti…” – esclama con una voce debole, arrendevole, di chi ormai non può più niente. L’hanno abbindolata con i loro bei dati. 94.5%… hanno aggiunto quel .5% per far credere che ci fosse stato dietro un chissà quale studio. Vicky si lascia andare, tra tensione, paura, preoccupazione, terrore. Ormai non sa più che pensare, e anche la sua anima appare disorientata, non sa più come rigirarsi… rimane ferma, sospesa nel vuoto, il suo sguardo cade di sbieco, verso il basso.

Non ascolta più neanche la risposta della madre. Tutto ciò che le circonda le sembra appannato e opaco, come la sua anima ferma dentro di lei, che non trova neanche più la forza di ribellarsi. Rimane ferma e in piedi, a risvegliarla è solo lo sbattere della porta di casa, che produce un rumore pesante e opprimente.

L’hanno presa. L’ho persa. Le inietteranno quel veleno. La perderò e non mi rimarrà più nessuno, alla fine prenderanno anche Sam.

Vickeiron: l’Apeiron che si fa Vicky

“A volte sembra quasi che scienza e religione seguano una stessa regola: non importa che una cosa sia vera, l’importante è che sia credibile.” – Stefano Nasetti

L’hanno presa. Non mi rimarrà più nessuno. I pensieri di Vicky sono quelli di una ragazza afflitta dalla morte del padre, che trema al solo pensiero di perdere anche chi le è rimasto, la madre e Sam. Nel contempo Vicky si sente sempre più disorientata, tra la necessità di ricercare un’imperturbabilità forzata e la realtà dei fatti che le si presentano; è una ragazza combattuta tra le sue emozioni che non riesce a comprendere il cur delle cose. La risultante è che non riesce a mettere a fuoco più nulla, la vista finisce per offuscarsi completamente, risultando in un fondersi panico. Ecco che l’apeiron esterno le è entrato ormai dentro, le si è innestato nell’anima. Vicky diventa l’apeiron fatta persona (Vickeiron): la confusione dei nostri giorni, la paura, la disperazione, le controversie della società attuale, l’arroganza, l’ansia e la diffidenza. Vicky è tutto ciò che stiamo vivendo, nella sua psicologia caotica ed estremamente sofisticata.

Fulcro del suo pensiero è una notevole sfiducia nei confronti della Scienza, che diventa il capro espiatorio dei suoi mali, della stessa morte del padre, della corruzione della società. La Scienza è dipinta come un organismo di controllo delle coscienze, corrotta anch’essa, per fatti economistici, ragionieristici, perdendo l’originaria valenza di Scienza come demistificatrice di conoscenze esoteriche e inverificabili, come era d’altronde nel rasoio occamiano. Vicky ripone scarsa fiducia nel vaccino Pfizer, le cui ricerche sarebbero state effettuate in tempi brevissimi (in meno di sei mesi), e dunque in maniera apparentemente superficiale, “…hanno aggiunto quel .5% per far credere che ci fosse stato dietro un chissà quale studio”. Tuttavia, il suo disorientamento la conduce verso un’arrendevolezza, che rivela la sua più grande fragilità.

Homo e AI


Non è raro sentire oggi, più che mai, dell’intelligenza artificiale: ora presentato come un Leviatano insormontabile, ora come un prodigio della mente, ora come il possibile protagonista della fantascientifica singolarità di Vernor Vinge, ora ridotto ad un semplice compito per casa da dover sviscerare asetticamente nei suoi più intimi particolari. Un ventaglio non di poco conto, che rivela la più totale contingenza dell’Intelligenza artificiale stessa.

Cos’è l’Intelligenza Artificiale?

Molto spesso l’intelligenza artificiale è erroneamente associata alla robotica: eppure i due mondi differiscono ampliamente. L’Intelligenza artificiale costituisce ordunque l’anima essenziale; il robot è tale in quanto racchiude nel proprio nucleo metallico l’anima AI. L’intelligenza artificiale è in fondo una branca dell’informatica avanzata, nella quale i codici si fondono nel tentativo di automatizzare un incommensurabile numero di azioni. Può trattarsi di qualunque cosa: riconoscere un oggetto e denominarlo, riconoscere il significato di una parola, trascrivere, ascoltare, guidare una macchina, selezionare il brano di canzoni preferito, creare una playlist ad hoc, comprendere le intenzioni altrui. Sono vere e proprie azioni quotidiane che vengono delegate ad un’altra “anima” qual è l’AI, risparmiando tempo e fatica e limitando al minimo ogni possibile errore umano.

L’intelligenza artificiale è presente ogni qual volta ricerchiamo una qualunque cosa su Google, ogni volta che chiediamo a Siri I come sia il tempo, che traduciamo una frase poco chiara dall’inglese all’italiano o che attiviamo la dettatura automatica: PageRank, speech recognition, Machine Translation, speech synthesis. Sono quest’ultimi, in realtà, i veri nuclei primordiali dell’Intelligenza artificiale: gli algoritmi, che traducono molteplici azioni nel linguaggio computazionale.

L’intelligenza non artificiale

Ecco allora aprirsi un nuovo sipario: l’intelligenza artificiale siamo noi. Programmatori, ricercatori, informatici: sono queste, in realtà, le menti che si impegnano a plasmare l’intelligenza artificiale del futuro, attraverso impegnative linee di codice in cui si potrebbe forse nascondere il segreto della Strong-AI (che si avvicinerà alla singolarità di V. Vinge). La prospettiva del Machine Learning e del Deep Learning sembra proprio preludere alla creazione di un’intelligenza effettiva, in cui l’uomo si piegherebbe ad un livello di subalternità. Si tratterebbe (come affermato negli studi di G. Wah e L. Chi (2020) “Strong Artifical Intelligence and Consciousness” ) di un’intelligenza coi fiocchi, in grado di provare a pieno delle emozioni – e non semplicemente di simularle. Un dato interessante, ma che si abbandona, per il momento alla pura fantascienza e in cui un’effettiva base scientifica è del tutto carente.

Oltretutto, sorgono numerosi dubbi non soltanto relativi alla potenziale plasmazione di una Strong-AI, ma anche alla sua stessa attestazione. Mi spiego meglio: “Se mai si dovesse riuscire a plasmare una nuova ed effettiva intelligenza artificiale, come si potrebbe mai definire quest’ultima tale?” Molti potrebbero ritenere il test di Turing una possibile soluzione; eppure questo non certifica l’intelligenza dell’AI, piuttosto stabilisce il grado di somiglianza delle azioni di comprensione e sintesi testuale con quelle umane. Ancora una volta torna in gioco la bravura umana nella sintesi di un codice computazionale efficiente, pertanto il test di adegua piuttosto ad un’intelligenza artificiale in senso (ri)stretto – nonchè ad intelligenza che è artificio dell’uomo e che permane nella condizione di Narrow-AI (Pagerank, speech recognition, Machine Translation, speech synthesis, et cetera). La sfida di una Strong-AI è piuttosto relativa alla creazione di un’intelligenza non artificiale – nonchè un’intelligenza le cui azioni non sono programmate dall’uomo attraverso delle linee di codice, ma in cui intervengono meccanismi in fondo imprevedibili (che è quanto d’altronde contraddistingue l’essere umano).

Machine Learning e Deep Learning

I meccanismi imprevedibili succitati di un’intelligenza forte, si scorgono in parte nei sistemi di ML e DL: quest’ultimi, tuttavia circoscrivono l’imprevedibilità pur sempre in dei linguaggi informatici. Mentre nel caso di una Strong AI, l’imprevedibile è sui causa, nell’ML e DL, l’imprevedibile è piuttosto parte di un algoritmo ben delineato.

Nel dettaglio, nel caso del Machine Learning, a seguito di specifici esempi di addestramento (training examples) e di un primo contatto di ordine fenomenico, la macchina è in grado di categorizzare, riconoscere ulteriori dati e offrire delle date predizioni: acquisisce una pseudo-conoscenza che permette di divincolarsi sempre più dallo stadio di supervisionato. La macchina impara, ossia, e costruisce una rete di ragionamento di partenza secondo un modello probabilistico; questo viene generato a seguito di un’attenta rielaborazione di dati storici – che si assume provengano da una data distribuzione stocastica.

Con il Deep Learning, il machine learning viene portato ancor più allo stremo: la parvenza di un’autonoma ricerca di un plausibile risultato (quella del ML) viene installata in un complesso meccanismo di reti neurali, per cui la macchina si avvicina fortemente ai meccanismi neuronali, presenti all’interno, invece, del sistema nervoso umano.

Si utilizzano qui molteplici livelli di algoritmi, nei quali figurano più unità non lineari organizzati secondo una specifica gerarchizzazione dei concetti e dei dati raccolti e in seguito ottenuti. Si tratta di una pseudo-conoscenza dal valore aggiunto, in cui si assiste ad una maggiore autonomia intellettiva da parte della macchina, senza che sia necessaria la costante presenza dell’uomo. La rete neurale apprende in maniera del tutto autonoma, definendo i collegamenti tra i differenti molteplici livelli (molto somiglianti con i nostri assoni presenti nei neuroni), secondo uno schema di pesi modulabili: le macchine non semplicemente apprendono, ma anzi imparano ad apprendere, mostrando una flessibilità notevole.

Si coglie a questo punto quale sia l’ordine gerarchico tra AI, ML e DL che viene qui schematizzato nella figura.

Deep learning con Python: che cos'è e che possibilità offre - Apogeo Editore

L’alberto intricato: recensione


Il vermiglio intrigante

È sin dalla copertina che si avverte il sentore di un romanzo enigmatico, ermetico: in quel vermiglio, l’imperscrutabilità risiede a incidere nel lettore il desiderio di delineare meglio i contorni di quell’albero. L’albero della vita si staglia così come il grande protagonista della scena narrativa, in un tracciato ricco di dettagli e fatti scientifici in cui il lettore è catapultato, all’insegna di una scoperta affascinante dei misteri che si celano all’interno della scienza evoluzionistica e dell’ingegneria genetica.

Un lettore-personaggio

È così che il lettore si trasforma in un personaggio integrato all’interno della scena, continuamente richiamato dallo stesso Quammen attraverso domande, dubbi, nessi e riflessioni che inducono a ragionamenti e supposizioni, oltre che a continue sorprese per i fatti scientifici presentati. Sin dalle prime pagine non fa che realizzarsi un pieno coinvolgimento, che conduce il lettore a continuare necessariamente la lettura al fine di giungere allo sbroglio della questione: la cosa si realizza mediante una ben ragionata e pensata presentazione delle teorie scientifiche, per cui l’autore realizza un dipinto variopinto e omnicomprensivo.

Un Quammen pittore e stacanovista Virgiliano

Annotazioni, schemi, immagini, date, nomi, biografie, fatti, aneddoti, battute: le diverse pennellate si integrano a restituire al lettore non una visione cruda e asettica dei fatti scientifici e degli scienziati, ma coinvolgente e ben soppesata tra divulgazione e informazione tecnicista. Gli scienziati non sono statue di sale sgretolanti ed effimere, bensì sono vivacemente incorniciati dalle loro storture più umane, tra paure, ambizioni, stati d’animo, gelosie, amicizie fatti di odi et amo, (come nel caso di Woese e Doolittle), competizioni: si tratta di un quadro che contribuisce non semplicemente, dunque, a presentare i fatti, ma a condurre il lettore all’interno di questi, comprendendo i reali retroscena dietro il mondo della ricerca scientifica e della scienza in sé. Un quadro, tuttavia, non di facile commissione, che potrebbe realmente godere del Virgiliano “Haud Mollia Iussa”: è una vera opera di collazione e reinterpretazione delle più variegate riviste scientifiche, cui si aggiungerebbero, addirittura, gli incontri con gli scienziati in carne ed ossa, intervistati da Quammen ad hoc, in un’attenzione ai dettagli lodevole, punto forte dell’opera.

Il capovolgimento dell’albero della vita

Il punto nevralgico del romanzo, l’albero della vita, è presentato mediante più pennellate, in cui il lettore è accolto e condotto amorevolmente, a partire dal primissimo schizzo dell’albero della vita, offerto da Darwin, fatto, che viene, accerchiato da infinite pennellate, legate allo scenario ideologico, religioso, scientifico e culturale del tempo, in una fotografia ad alta risoluzione delle dinamiche della comunità scientifica del tempo. Una prima fotografia a partire dal quale Quammen costruisce un’impalcatura fatta di scienziati, geologi, microbiologi, descritti quasi nel loro impeto di sviluppare il fantasmagorico schizzo Darwiniano: è così che svettano Margulis, Woese, Fox, Watson, Crick. Il lettore ripercorre i ritmi delle scoperte del tempo, in uno stupore continuo: la teoria endosimbiotica, i trasposoni, RNA S16, RNA S18 e infinite strade: tutto contribuisce ad instradare, tuttavia, verso altri orizzonti, ben differenti, che portano al capovolgimento dello stesso albero della vita tanto acclamato, in un’infinita sorpresa.

VIcky: il racconto continua


Bentornati, cari lettori.

Come promesso, la rubrica continua, cari lettori, imperterrita, con lo stesso eroico furore che attraversa l’anima di Vicky nel racconto che siete in procinto di leggere. Per chi non l’avesse già fatto, ricordo di leggere la parte precedente, pubblicata nell’ultimo articolo: vi trovate anche una brevissima sinossi.

Vaccinazione

5 gennaio 2021, 4.11, la notte è più movimentata del solito

Vicky si è svegliata nel cuore della notte, di sobbalzo; sono le 4 di notte, ma Vicky è sveglia, in piedi e non sa nemmeno perché. Dall’ultima volta in cui era scoppiata in lacrime, è come se non fosse riuscita più ad acquietarsi: la sua anima è diventata un continuo vorticarsi che non accenna a fermarsi, le sue emozioni sono diventate degli stornelli che si muovono con impeto in questa tempesta perpetua. Cerca di ritornare alla sua forzata apatia, fingendo di non sentire l’imperterrito e fastidioso rimescolarsi della sua anima. Sposta la sua attenzione altrove, così da tamponare per un momento la sua ferita interna: appoggia così i gomiti sul davanzale in travertino della finestra e inizia a scrutare l’orizzonte illuminato. Questa volta il riflesso del suo viso non la accompagna e così il ricordo di suo padre; si sofferma piuttosto sui contorni delle colline, della casa di fianco, della macchina malconcia dei vicini. Purtroppo, lo scorcio visibile è reso ancora più ristretto dalla scarsità di luce, cosicché Vicky non può analizzare i contorni della collina che pure era la parte più interessante di tutta la vista che le si offriva. Il suo sguardo continua a spostarsi, seguendo perfettamente le singole crepe della parete di fronte; questa volta c’è una nuova crepa, lunga e intricata. La segue in ogni suo punto finché ad un tratto, giunta al suo termine, non compare una luce vermiglia che la prende di sorpresa. Sono i fari di un grande camion, di quelli che non si vedevano ormai da tempo. Non è il tipico camion del corriere, è diverso… Questo reca la scritta “Pfizer”.

Quindi è vera questa cosa.

Vogliono togliermi anche chi mi è rimasto.

Dal camion scendono tanti soldatini che sembrano non temere la notte. Tutti rigorosamente in fila indiana e con le mascherine, si dirigono verso lo sportello anteriore, da cui si spande un fumo quasi arcadico e onirico, che avvolge dei grandi e pesanti bauli: si tratta dei famigerati frigoriferi. La produzione era iniziata mesi addietro, molto prima della definitiva approvazione del vaccino del FDA statunitense. Gli uomini caricano i frigoriferi, per ciascuno almeno quattro. Uno sale sul camion, gli altri 3 accompagnano la discesa con estrema attenzione: far cadere uno dei super-frigoriferi significherebbe distruggere almeno 5000 vaccini. A ogni movimento brusco e inaspettato degli uomini, Vicky spera inesorabilmente che quei 5000 vaccini si frantumino in mille pezzi, perché sa che altrimenti a frantumarsi sarebbe la sua anima. E Vicky non vuole che la stessa cosa riaccada, non vuole sentirsi nuovamente a pezzi e fingere di essere fintamente composta, come suo solito. Non vuole perdere chi le è rimasto.

Vicky continua a indirizzare anatemi contro gli uomini forzuti, senza alcun esito. Gli spostamenti sono precisi e ripetitivi, quasi come in una catena di montaggio, finché tutti i frigoriferi non sono trasportati all’interno dell’ospedale, lo stesso in cui lavorava il padre, lo stesso in cui lavora anche la madre, come infermiera. I pensieri di Vicky svaniscono, si dissolvono, nello stesso istante in cui la porta del camion viene chiusa. Il rumore prodotto dallo sportello è identico allo stesso di prima, prodotto dal gomito a contatto col travertino. Le sembra di tornare così indietro nel tempo: la vista torna quella di prima e a quel punto tutto sembra perdere di consistenza, come se nulla l’avesse toccata veramente. Le rimane solo un vuoto dentro. Non prova più nulla, ma solo perché non desidera provare più nulla.

E ora, sempre che ci sia qualcheduno a leggere, ecco un po’ di riflessioni, con cui intendo chiarire gli intenti dietro questa mia stesura, come fece il Foscolo in una lettera a Monsieur Aimè Guilloine (scusate l’insensatezza del nesso, ma approfitto per ripassare per l’interrogazione di Italiano che avrò a breve).

Vickeiron: Vicky è l’apeiron che viviamo

“A volte sembra quasi che scienza e religione seguano una stessa regola: non importa che una cosa sia vera, l’importante è che sia credibile.” – Stefano Nasetti

L’hanno presa. Non mi rimarrà più nessuno. I pensieri di Vicky sono quelli di una ragazza afflitta dalla morte del padre, che trema al solo pensiero di perdere anche chi le è rimasto, la madre e Sam. Nel contempo, Vicky si sente sempre più disorientata, tra la necessità di ricercare un’imperturbabilità forzata e la realtà dei fatti che le si presentano; è una ragazza combattuta tra le sue emozioni che non riesce a comprendere il cur delle cose. Ecco che l’apeiron esterno le è entrato ormai dentro, le si è innestato nell’anima. Vicky diventa l’apeiron fatta persona (Vickeiron): la confusione dei nostri giorni, la paura, la disperazione, le controversie della società attuale, l’arroganza, l’ansia e la diffidenza. Vicky è tutto ciò che stiamo vivendo, nella sua psicologia caotica ed estremamente sofisticata.

Sovvertire il rasoio Occamiano

Fulcro del suo pensiero è una notevole sfiducia nei confronti della Scienza, che diventa il capro espiatorio dei suoi mali, della stessa morte del padre, della corruzione della società. La Scienza è dipinta come un organismo di controllo delle coscienze, corrotta anch’essa, per fatti economistici, ragionieristici, perdendo l’originaria valenza di Scienza come demistificatrice di conoscenze esoteriche e inverificabili, come era d’altronde nel rasoio occamiano. Ciò è quanto si intravede all’interno dell’anatema agli uomini bitorzoluti che trasportano carichi contenenti i vaccini: “Spera che i 5000 vaccini si frantumino in mille pezzi, perché sa che altrimenti a frantumarsi sarebbe la sua anima.”

Tobagi: Conferenza con l’autrice


Diventare scrittori

Da sempre mi sono chiesta come sarebbe essere una scrittrice, scrivere un libro, modulare i personaggi. Entrare nel mondo della scrittura appare cosa tanto insormontabile, ma la risposta a tutto questo forse sarebbe proprio avere un contatto diretto con chi è una figura già piuttosto ragguardevole in tale campo.

Entrare in un altro “io”

Esattamente ieri, venerdì 15 maggio, ho partecipato ad una conferenza online organizzata dal liceo da me frequentato, con l’autrice Benedetta Tobagi, figlia del giornalista assassinato Walter Tobagi. La cosa si è rivelata un’occasione imperdibile, per chiunque, immagino. Probabilmente l’unicità nella cosa non è tanto da intendersi per l’importanza del libro scritto e della possibilità di parlare di ciò; credo quanto più che l’unicità risieda nella possibilità di entrare in una persona capace di produrre tali fiori (ánthos) letterari. Immagino che ogni scrittore sia da lodare, da stimare; probabilmente non tanto per l’opera realizzata, ma per la capacità di trasferire pensieri, per la capacità di maturarli prima ancora di riportarli su carta. Ciascun autore inserisce la propria emotività, la propria vita e la cosa si fa ancora più interessante nel momento in cui, non solo sei entrato nel suo mondo e nella sua mente, leggendo un romanzo, ma hai l’incommensurabile opportunità di conversare con quest’ultimo e aprire ancora di più, forse, la sua mente ed entrarvi dentro e lasciarsi, in parte, inebriare dal suo linguaggio, dal suo io.

L’amore di un Dante e di una Tobagi

Dantedì: ecco la giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri

Ritengo che tutti gli artisti possano vedere una simile caratteristica, e cioè quella di avere una mente aperta, plastica; pertanto, in parte, nella Tobagi, come autrice, potrebbero, in un certo qual senso, riflettersi i grandi autori del passato. Il racconto di un’opera secondo la propria esperienza e secondo la propria indagine sull’io, potrebbe essere assimilato agli altri autori poichè, nonostante l’opera, innegabilmente sia diversa, il modus scribendi si riflette sempre nello scrittore stesso. Il fatto di riproporre l’io su un testo è ciò che resta immutabile, dunque. Pertanto l’amore della Tobagi con cui il romanzo “Come mi batte forte il tuo cuore” è stato narrato e spiegato potrebbe essere forse trasportato ad un Dante, nel suo narrare la Divina Commedia. La cosa è quasi fin troppo surreale, ma il potere dell’immaginazione è proprio questo.

L’autrice risponde: “Ritiene di aver maturato una sfiducia per la politica?”

Politica: il significato - Dal significato a una nuova concezione ...

Non mi sarei mai fatta perdere un’occasione così unica, alla luce di quanto esplicato; con forza e coraggio ho rivolto la mia domanda sulla politica, cercando di togliere uno 0 da quel 200 (n. di persone online), che mi fissava divertito.

L’autrice ha spiegato come la sfiducia nei confronti della politica o dell’uomo non porti ad alcun guadagno, se non ad auto-struggimento e ad una repulsione per la società. La Tobagi ritiene che bisognerebbe dunque passare a prendere consapevolezza della società, riconoscerne gli errori, ma apprezzarne gli aspetti positivi. In particolare, la scrittrice fa riferimento all’episodio di un magistrato con cui ha avuto contatti e che ha mostrato la propria totale volontà a far luce sul caso Tobagi. Il prossimo passo è porsi, a questo punto la domanda: “Cosa posso fare?” e non, come si sottolinea attentamente,: “Se posso fare”, in via ipotetica. A quel punto, infatti si viene annichiliti e si esita ad agire, alla maniera Amletica. Sbagliato è ritenere la sfiducia come l’impossibilità di un cambiamento nella società, in quanto, a quel punto, ogni propria azione verrebbe ad essere così considerata inconsistente. Occorre, in primis, pensare al proprio presente, dunque, al proprio dovere e, una volta raggiunta consapevolezza del mondo che ci circonda, prepararsi all’età adulta, con un agire fondato.

Il suo pensiero, così realisticamente panglossiano, acquisisce un valore aggiunto a fronte della sua vicenda, tanto segnata dalla morte del padre. Se è riuscita a maturare un simile pensiero a fronte dei soprusi che hanno sconvolto la sua famiglia, immagino che tutti noi possiamo. Ho immediatamente cambiato la mia visione del mondo, seppure io non manchi di riservare, pur sempre, un certo odio nei confronti dei personaggi politici più sordidi. Seppure il mio odio non sia variato, quantomeno si è aperto il varco per una speranza.

–Chiara Incani

P.s. L’articolo è stato condiviso anche dall’autrice qui. Sono davvero felicissima per la cosa.

Racconto sulla Pandemia: Prologo


Una nuova rubrica di racconti vi attende, cari lettori: pubblicherò dei loci (locus, i = passo di un libro) di un racconto scritto da me, oggi tocca al prologo.

Vicky è la protagonista, una ragazza del Liceo, che si trova ad affrontare gli attimi di una pandemia straziante e travolgente, resi ancor più difficili da una terribile scomparsa.

La morte, il nichilismo, l’annientamento, l’esplosione: una breve sinossi.

Diversi mesi fa ho approntato un racconto riguardo l’ampia e tortuosa parabola della pandemia, tutt’oggi in atto: è una pandemia che prorompe nella vita di Vicky, scardinando i suoi poli statuari di riferimento; la calma e la solidità paterna svanisce e con essa la stabilità della ragazza si sfalda, dando adito a dei continui struggimenti nella sua anima. I vortici della sua psicologia sono forzatamente incatenati al raziocinio che la caratterizza e che agisce da stadio limitante: in una fase tanto delicata e complicata nella vita della ragazza, forte è il risentimento per il mondo che la circonda, tanto che il nichilismo le sembra essere, infatti, l’unico motore immobile della sua vita. Annichilimento di ogni emozione: ecco il piano per sopravvivere alla morte struggente del padre.

E invece no. “Mai più emozioni”, “Mai più emozioni…”, “Mai più emozioni…”, “Mai p-“: ecco che la formula di puro Nichilismo risulta essere fallace, riducendo Vicky ad un’esplosione di rabbia, orrore, terrore e di tutte quelle emozioni che nel frattempo si erano inglobate nel suo “io”, in uno stato di latenza. Le emozioni prendono il controllo della ragazza, tanto da annebbiarne la vista, tanto da prendersi gioco dei suoi sensi, e da mettere a nudo ogni sua debolezza.

E poi, un giorno… ha inizio la campagna di vaccinazione, e ancor più Vicky manifesta un ardito senso di repulsione per il vaccino, strumento di morte, di controllo di coscienze.

Buona lettura,

Chiara Incani

Prologo: Mai più emozioni

22 novembre 2020, 7.05, l’alba è più luminosa del solito

Vicky osserva dalla sua finestra i contorni delle case, i contorni delle nuvole, i contorni deturpati della macchina ormai malconcia, i contorni delle crepe della casa di fianco. Perché tanto ormai quello è rimasto da vedere. Più osserva quei dettagli più le sembra di catapultarsi nei suoi stati d’animo: una vera catarsi che si dissolve in un nulla. Perché in fondo non c’è più nulla da provare. E provare, e lasciarsi attraversare vorticosamente dai sentimenti significherebbe soffrire e lei lo sa, lo sa eccome. Le era capitato di soffrire davvero. Da quel momento si era ripromessa di non pensare, di non provare: perché provare e… lasciarsi… attraversare… signif-

Lo sguardo di Vicky, immerso nel minuscolo scorcio che le si squaderna, ad un tratto si sposta sul riflesso della finestra: si osserva e vede un forzato “nulla” che si scioglie e si ribella.

Una prima, una seconda. Il suo essere nichilista non ce l’ha fatta.

Le lacrime scendono e si illuminano nel momento in cui il primo bagliore di un’alba si sparge da dietro la collina di cui conosceva ormai tutti i contorni. E il flusso continua e continua… più continua più le sue emozioni l’avvolgono, più l’ansia, la paura, il terrore si sprigionano dal suo corpo forzatamente freddo e apatico. Deve intervenire immediatamente prima che la situazione degeneri come l’ultima volta.

Ad un tratto si dà uno schiaffo e si rimprovera. Mai più emozioni, come le aveva insegnato Zenone: apatia. Gli studi di filosofia al liceo non avevano fatto altro che rinforzare il suo essere così fredda, l’avevano aiutata a recuperare quel suo sconforto che si era trascinata dentro per così tanto tempo, dopo la morte del padre, per via del coronavirus. Mai più emozioni.

In questa situazione di sfacelo totale, le sue emozioni potevano solo peggiorare le cose. Suo padre era morto tra i tubi e i ventilatori artificiali, ruotato periodicamente ora a pancia in giù, ora a pancia in su. Era finito in terapia intensiva dopo due giorni essere risultato positivo: all’inizio era preoccupato sì, ma riteneva sarebbe tutto passato prima o poi. Il suo corpo sprigionava una finta speranza, faceva di tutto pur di non far preoccupare le sue due figlie, Vicky e Sam. Ma lui sapeva, lo sentiva. Già dopo i primi sintomi il suo stato era iniziato a peggiorare e peggiorare… eppure cercava di mostrarsi sempre fiducioso. Sorrideva, ma il suo sembrava il sorriso di una persona pronta a svanire, che già assaporava la beatitudine dell’aldilà, come S. Bernardo, pronto a elevarsi di fronte al cospetto divino. Era morto da vero guerriero, da eroe, per il bene di tutti. Ma il suo essere altruista lo aveva ferito internamente; un altro medico se ne sarebbe andato. Il suo corpo era stato immediatamente incellofanato e gettato senza rispetto per la sua virtus. Vicky, Sam e la moglie erano risultate asintomatiche.

Vicky avrebbe preferito volare col padre, avrebbe preferito subire il suo iter spaventoso. E invece lei era rimasta, con un vuoto dentro. Con un amarezza, una paura, una disperazione che si era concretizzata in uno dei pianti più disperati della sua vita. Aveva lanciato tutti i suoi peluche che le erano stati regalati dal padre durante il viaggio a Parigi, aveva rotto i vasi del Giappone lungo il corridoio, aveva urlato contro gli scienziati intervistati durante il notiziario del Tg5.

Un nuovo accenno allo stesso pianto si stava or ora per ripresentare se non si fosse data uno schiaffo, ristoratore dell’apatia.

Era stato il ricordo di suo padre a scatenare le sue lacrime.

Nel riflesso della finestra, Vicky aveva visto l’occhio di suo padre nel suo.

Mai più emozioni.

Bene, se siete arrivati a questo punto, mi fa davvero molto piacere: vi lascio a degli spunti relativi a questa lettura. Buona prosecuzione!

Un’apeiron infinito: la Pandemia.

Oggi ci troviamo ad affrontare la nostra stessa fragilità, e la cosa non fa che condurci verso ad un annichilimento della nostra persona, della società che ci circonda e che si sgretola con l’impeto della preoccupazione. È l’effetto di una smarginatura che si diffonde di fronte ai nostri occhi, a ritmo del virus; è l’effetto del suo azzerarsi continuo dei tratti, dei margini e del suo fondersi in maniera panica, fino a dissolversi in un apeiron (ἄπειρον).

Vicky: tra osservazione e nichilismo.

Proprio per questo Vicky è un’osservatrice, che scruta i margini e i contorni delle cose, delle montagne delle nuvole passeggere, nella speranza di trovare tra questi una correlazione e ritrovare quell’unità persa in un disordine browniano.

Vicky è in fondo incarnazione dell’ansia che risiede in noi e che reprimiamo forzatamente, in un fare fintamente stoico che rivela la nostra ingenuità di fronte alle situazioni; Vicky è fotografia di noi, è fotografia di uno sfacelo che cerca il proprio rimedio all’interno della sua stessa amalgama; è fotografia introspettiva delle emotività che molte persone si trovano ad attraversare esattamente ora, in questo preciso istante. È un racconto probabilmente banale, ma che nel suo cerca di introdursi nella mente di una ragazza che vive la morte straziante del padre, per via del covid19; da esso si diramano aspetti intimi e psicologici, misti alle realtà aberranti dell’attualità.

Mai più emozioni.

Il motto “mai più emozioni” è un tentativo fallace di allontanamento forzato da ogni forma di emozione, da cui tuttavia permea la consapevolezza della fragilità umana: anche l’uomo più saggio si farà vorticosamente prendere dai sentimenti di tensione e anche l’ostativo schiaffo sarà capace soltanto di reprimere il pianto esterno. Il pianto interno continua imperterrito e lacera, col suo scorrere, l’anima della persona, non trovando alcuna valvola di sfogo.

I raggi cosmici


D’Annunzio docet

Giorni fa, più precisamente il mercoledì 4 novembre, ho avuto l’occasione di partecipare al “cosmic day”, iniziativa di cui non avevo mai sentito parlare; tantomeno avrei mai sospettato che fosse stata organizzata dall’Università del Gran Sasso. Anzi, per me è stata a dir poco una sorpresa scoprire che a qualche decina di chilometri da me potesse stanziarsi uno dei pochi laboratori a livello internazionale a studiare le particelle cosmiche! Proprio io, che ritenevo l’Abruzzo terra ormai al degrado, io, che la guardavo con ribrezzo in attesa di migrare altrove, mi trovo qui invece a parlare di uno dei motivi per cui restare nella mia terra natia. D’Annunzio docet.

Quintessenza, o segnali interstellari?

Dovreste sicuramente avere una vaga idea di cosa mai possano essere le particelle cosmiche, una vaga, ma non definita idea, o quantomeno non precisa. Che voi vogliate paragonarla alla quintessenza aristotelica o a dei segnali giunti dallo spazio (se siete fan di Interstellar, aggiungereste anche “..segnali codificabili nel morse”), poco importa; di certo, vi approcciate ai raggi cosmici con grande stupore, meraviglia, curiosità.

Il che è sicuramente un buon inizio, per poter continuare in una lettura che potrebbe farsi più intricata e anche più interessante, per che no. L’intrico si trasforma in intrigo… sta a voi aggiungere una semplice linea immaginaria e disegnare il resto della “g”. Semplice no?

La scoperta dei raggi cosmici

Iniziamo passo dopo passo: sarebbe strano ritrovarci a parlare di raggi cosmici, così per caso, come se ad un tratto, nella storia della scienza, un uomo si fosse posto l’obiettivo di scoprire l’identità di strane radiazioni provenienti dallo spazio.

La radioattività naturale

La scoperta dei raggi cosmici vede, infatti, come passaggio propedeutico, lo studio relativo alle radiazioni, che aveva dato slancio anche alla medicina, mettendo a nudo il corpo umano e mostrandone le strutture ossee, cosa non da poco. Gli studi sulla radioattività si fecero sempre più capillari e ommicomprensivi: i fisici scoprirono la cosiddetta “radioattività naturale”, concernente l’emissione spontanea di particelle da parte di alcuni materiali dovuta alla presenza di radioattività nelle vicinanze, una forma di radioattività presente ovunque. La domanda per tutti i fisici del tempo si spostò a questo punto sulla provenienza di tali raggi immanenti. Unde? Da dove?

Il partito di Aristotele e il partito di Platone

Nel mondo degli scienziati del tempo serpeggiavano ipotesi plurime: si formarono dunque ben presto due partiti di pensiero. Li chiameremo, per ragioni esplicative: Partito di Aristotele e Partito di Platone. Se siete anche labilmente interessati al mondo della Filosofia, avrete certamente compreso il “dunque” del mio discorso. In breve, c’erano coloro che “puntavano il dito verso la Terra” e coloro che, come Platone, “puntavano il dito verso il Cielo”. I primi ritenevano che i raggi cosmici provenissero dal terreno, i secondi dal cielo, dallo spazio.

Come risolvere dunque l’arcano? Si pensò di controllare se l’effetto della radiazione diminuisse/aumentasse, a mano a mano che ci si allontanasse dal terreno. Ma di quanto occorreva allontanarsi? La domanda è retorica: di molto. Si pensò addirittura di effettuare le misurazioni sulla Torre Eiffel, la cui costruzione iniziò il 28 gennaio 1887. Il problema fu, a questo punto, individuare i temerari (ma al tempo stesso capaci) che sarebbero saliti sulla Torre Eiffel, al tempo la struttura più alta al mondo, con i suoi 300 metri di altezza.

“I temerari cosmici”

Padre Theodore Wulf (del partito di Aristotele) fu il primo ad indagare il fenomeno in modo sistematico e con un elettroscopio di particolare qualità. Appena acceso lo strumento con grande stupore si accorse che il segnale fornito dall’elettroscopio non era quello che aveva immaginato. Non era cioè diminuito come ritenuto.

Nel 1912, il fisico austriaco Victor Hess decise di effettuare un nuovo esperimento, per quei tempi innovativo e audace. Si trattava di portare lo strumento non a 300 metri dal livello del suolo, ma, udite udite, a migliaia di metri di altitudine con una mongolfiera. Si scoprì che ad un’altitudine pari a 5000 metri dal suolo il segnale raggiunse un livello addirittura doppio rispetto al segnale “di fondo” misurato al suolo.

Cosa sono i raggi cosmici?

Bene, dopo queste innumerevoli digressioni relative ai retroscena della scoperta dei raggi cosmici, ecco che ci troviamo, finalmente, a definirli propriamente.

In fisica i raggi cosmici sono particelle energetiche provenienti dallo spazio esterno, alle quali è esposta la Terra e qualunque altro corpo celeste, nonché i satelliti e gli astronauti in orbita spaziale. Si tratta di particelle elettricamente cariche costituite principalmente da protoni (circa per il 90%), nuclei di elio (circa 9%) e il rimanente 1% da tutti gli altri nuclei atomici della tavola periodica, elettroni e le rispettive anti-particelle.

I raggi hanno origine a livello galattico o extra-galattico, per poi colpire lo strato esterno dell’atmosfera: tali raggi sono dunque detti “raggi cosmici primari” e sono principalmente protoni di alta energia. Nel loro rapido viaggio verso la superficie terrestre, essi collidono con gli atomi dei gas atmosferici, creando, attraverso uno spettacolare processo moltiplicativo, cascate di nuove particelle ed antiparticelle che costituiscono i “raggi cosmici secondari”. Questo fenomeno è all’origine dei cosiddetti Sciami Atmosferici Estesi, una pioggia cosmica che investe la Terra. 

Astroparticelle, cosa sono i Raggi Cosmici?
Sciami atmosferici Estesi, primari e secondari.

A cosa servono i raggi cosmici?

Studiare i raggi cosmici è importante per conoscere l’ambiente che ci circonda: in base a quanti e quali particelle (muoni, positroni et cetera) arrivano in prossimità del nostro pianeta, possiamo ottenere innumerevoli informazioni sulla loro origine. Lo scopo è dunque quello di conoscere in maniera omnicomprensiva il nostro Sole, il campo elettro-magnetico e lo spazio più generalmente, in vista soprattutto di eventuali viaggi spaziali.

I raggi cosmici sono delle chiavi che consentono dunque di giungere all’archè dell’universo, della vita, dell’apeiron cui ci affacciamo ogni giorno. Saranno proprio questi a offrirci la strada maestra? La risposta non è certamente immediata, tantomeno immediati sono i calcoli necessari a giungere ad una conclusione.

Kim Jong Un è morto: in attesa di conferme


Secondo fonti americane, non c’è dubbio: il dittatore nord-coreano sarebbe deceduto a fronte della sottoposizione ad un intervento delicatissimo a livello cardiovascolare. In particolare, in realtà, fino a poche ore fa realtà ci erano giunte notizie di uno stato vegetativo, come dichiarato da un media giapponese, ma ora le notizie sono ben più drammatiche.

I problemi cardiovascolari

Il dittatore coreano Kim soffriva già da tempo di problemi cardiovascolari, legati per lo più a obesità e tabagismo; le cose si sarebbero aggravate sempre più, fino a doversi sottoporre ad un intervento chirurgico, martedì, 12 aprile, dunque poche settimane fa. Lo stato di salute del dittatore si sarebbe aggravato sempre più, informazione pervenuta da un medico della squadra preposta all’intervento.

Tra “stato vegetativo” e “è morto”

Le notizie in merito, lasciano in realtà una scia di indeterminatezza.

Le fonti americane che parlano di una morte accertata, come il sito di breaking news TMZ, che ne dà per certa la morte. TMZ si configura, peraltro essere una fonte molto affidabile: a suo tempo aveva già annunciato la morte del cantante pop Jackson. Il giornale inglese parla invece di uno “stato vegetativo”; mentre fonti asiatiche ci informano ora di una morte, ora di uno stato molto precario; altre ancora, come il Taiwan News, uno dei più pessimisti, affermano che sarebbe attaccato ad una macchina. Insomma le cose non appaiono molto chiare, aleggia un completo caos nelle informazioni. Si attende a questo punto, una notizia ufficiale direttamente da Pyongyang.

La Cina invia un team di medici

Sono rimbalzate, sulla stampa internazionale, indiscrezioni sull’invio di un’equipe medica cinese in Nord Corea, per ragioni non ben definite. Il team sarebbe partito giovedì, ma si ignora se la cosa sia da ricollegarsi alla vicenda del dittatore. La stampa coreana tace sullo status del dittatore e lascia invece ampio spazio a notizie ordinarie.

Giornata mondiale del libro


Leggete, leggete, leggete.

Vi sarà forse giunta notizia che oggi è la festa mondiale del libro; io l’ho scoperto proprio oggi e, considerandomi una modesta lettrice e pensatrice, mi è subito venuta ispirazione per questo articolo. Molti di voi probabilmente non saranno avvezzi alla lettura, molti saranno capitati qui per caso e staranno ora per chiudere la pagina. Vi chiedo invece di attendere un attimo, per illustrarvi dei miei pensieri e per far capovolgere le idee dei più restii.

Un’attività ludica o un compito per casa?

Dunque, da dove partire? In realtà credo che non ci sia un reale punto di partenza. La lettura è un’attività di svago, di piacere e di certo non deve costituire un obbligo, come spesso si è portati a pensare a causa di una scuola il più delle volte esigente. La lettura non è un compito da svolgere, ma è un’attività, direi, quasi ludica, che peraltro vede fini didattici e pedagogici. Può essere considerata, la lettura, come uno spazio immaginario di forme, cose e persone, modulate da uno scrittore, secondo la propria mente e che in realtà potrebbe costituire un monito al miglioramento della propria persona. In fondo un libro, un romanzo, presenta la storia di un personaggio, in cui è facile immergersi, è quasi come vivere all’interno della storia; il che non permette forse di ampliare le proprie stesse esperienze di vita? La lettura ci consente di entrare in altri mondi, di scoprire il nostro essere, di essere migliori, di scoprire le diverse declinazioni per una stessa emozione; è in fondo una scoperta di sè, attraverso la scoperta del personaggio del libro che si sta leggendo. Pertanto, non è importante leggere un libro, in sè e per sè, ma è importante trovare mezzi per capire se stessi. In tal senso, non sono da escludere le innumerevoli altre attività, preposte a ciò, come nel caso del teatro o del cinema o, perchè no, della musica. La scelta è libera, ma ciò non toglie che una buona lettura faccia male.

Iniziare una lettura

Si sa, quando non si è lettori accaniti, come d’altronde era stato nel mio caso, sino a poco tempo fa, entrare nel mondo della lettura può rappresentare un ostacolo insormontabile. Spesso si preferisce vedere un semplice film, rispetto ad un libro, perchè ci sentiamo stanchi, perchè non ci va o perchè spesso leggere un libro può rappresentare il chiodo fisso dei nostri pensieri, laddove una lettura non venga poi portata a termine. Devo dire che la cosa si applica molto facilmente alla sottoscritta e, immagino anche molti di voi. Si sente il chiodo puntiglioso della necessità o quasi del dovere di completare la lettura, al fine di conoscere l’epilogo di una storia. Sotto questo punto di vista, riconosco che la lettura non possa esser sbrigata in 2 ore, come nel caso di un film. La lettura ha un tempo prolungato, e forse, a mio vedere, è proprio ciò che la rende speciale. Il tempo reale segue, in parte, l’andamento della storia; e forse sono proprio tali pause che ci permettono di ponderare e di riflettere su quanto letto.

Alcuni titoli per voi

Spero che i più restii abbiano fatto un passo indietro e che possano ora gustarsi uno di questi libri che vi propongo, per diverse fasce di età.

L’amica geniale di Elena Ferrante

Ne avrete già sicuramente sentito parlare, ma, se qualcuno non l’avesse già fatto, ve ne consiglio la lettura.

Una scena dalla serie RAI L’amica geniale

L’amica geniale comincia seguendo le due protagoniste bambine, e poi adolescenti, tra le quinte di un rione miserabile della periferia napoletana, tra una folla di personaggi minori accompagnati lungo il loro percorso con attenta assiduità.
L’autrice scava intanto nella natura complessa dell’amicizia tra due bambine, tra due ragazzine, tra due donne, seguendo passo passo la loro crescita individuale, il modo di influenzarsi reciprocamente, i buoni e i cattivi sentimenti che nutrono nei decenni un rapporto vero, robusto.

Vi lascio una citazione dal I libro c.62, che mi ha molto colpito:

La maestra Oliviero aveva avuto ragione a spingere avanti me e ad abbandonare Lila. "Sai cos'è la plebe?", "Sì, maestra". Cos'era la plebe lo seppi in quel momento, e molto più chiaramente di quando anni prima la Oliviero me lo aveva chiesto. La plebe eravamo noi. La plebe era quel contendersi il cibo insieme al vino, quel litigare per chi veniva servito per primo e meglio, quel pavimento lurido su cui passavano e ripassavano i camerieri, quei brindisi sempre più volgari.

10 piccoli indiani di Agatha Christie

Lo so, un vero topòs ormai, ma credo che una lettura di questo libro possa realmente aprire la mente e l’ingegno di tutti.

Una scena con tutti i personaggi, dal film “And there there were none”

Dieci persone estranee l’una all’altra sono state invitate a soggiornare in una splendida villa a Nigger Island senza sapere il nome del generoso ospite. Eppure, chi per curiosità, chi per bisogno, chi per opportunità, tutti hanno accettato l’invito. Per gli ospiti intrappolati è l’inizio di un interminabile incubo…

La cosa più incredibile di Christian Frascella

Un testo adatto per ragazzi, che ho, per quanto mi riguarda, letto nel giro di pochissimi giorni; lettura davvero scorrevole, sin dall’inizio.

Ivan ha dodici anni e vive in un anonimo palazzo alla periferia di Torino insieme al suo gruppo di amici: i gemelli del terzo piano, Melania e Rudy, Appartamenti identici, stessi giochi, stesse abitudini, pochi soldi e poca libertà. E l’ingombro affettuoso ma pesante della famiglia. E proprio quando sembra che nulla possa cambiare, in un giorno come tanti, basta un’arrabbiatura di troppo e accade qualcosa di incredibile, anzi, accade la cosa più incredibile… Un romanzo a metà tra favola e noir, raccontato dalla voce diretta di un ragazzino che estende il suo sguardo lucido sul complicato e assurdo mondo dei grandi.

La ragazza del treno di Paula Hawkins

Immagine di copertina del film “La ragazza del treno”

Una donna distrutta dalla fine del proprio matrimonio comincia ad osservare ossessivamente una coppia, apparentemente perfetta, fino a quando assiste ad una scena che la lascia scioccata e si ritrova ad indagare in merito.

Vi assicuro che è un giallo davvero intricato e avvincente, nella sua trama; personalmente il libro mi ha incuriosito sin dalla prima pagina, letta tra le librerie della città. Ve la riporto qui e, tranquilli, nessuno spoiler, è proprio la prima pagina del libro:

é sepolta sotto una betulla bianca, vicino ai binari della ferrovia. La tomba è segnalata solo da un mucchietto di pietre, nient'altro. Non volevo attirare l'attenzione sul luogo in cui riposa, ma nemmeno potevo abbandonarla all'oblio. Dormirà in pace, lì: a turbare la quiete solo il canto degli uccelli e lo sferragliare dei treni.

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